sabato 12 giugno 2010

L'amicizia è una relazione poetica

Non so se tra le tante pagine scritte sull'amicizia sia stato mai considerato il suo valore poetico. O almeno non me ne ricordo. Di certo l'amicizia è “una delle più grandi consolazioni” della nostra vita. Chi vive autenticamente l'essere amico è beato. L'amicizia, infatti, è amore del tutto disinteressato. Il piacere che ne deriva consiste essenzialmente nella conoscenza dell'amico e nella corrispondenza affettiva che trascorre in un dono scambievole di pura libertà. Comunemente si parla della “condivisione” vissuta dagli amici. Si sottolinea, per lo più, che l'amicizia è il conforto nel dolore e si narrano, esemplarmente, episodi di mutuo soccorso tra amici caduti nel bisogno.
A me, invece, piace descrivere lo stato di beatitudine che si raggiunge nella condivisione di esperienze intellettuali, nei percorsi di conoscenza compiuti nella relazione con l'amico. E questo mio desiderio nasce dall'esperienza dell'amicizia. Quanto di buono e di bello fa parte di me si è compiuto nelle relazioni di straordinarie amicizie! L'amicizia autentica ricolma di bene! Per questo, essa genera uno stato di benessere fecondo di bene contagioso. I veri amici sono “beati”! Sono “pieni di ogni bene”. L'origine della parola beatitudine è nel latino “beatus” che corrisponde nel significato all'aggettivo greco μάκαρ (màkar), qualità propria degli dei, stato di felicità generato dal sentirsi “ricolmi di ogni bene”. Ma questi “beni”, più che posseduti, sono assimilati da chi li ha ricevuti, diventano costitutivi dell'“essere” stesso. I doni dell'amicizia sono un'energia amorosa altamente poetica dell'essere umano. Non è nelle parole di conforto o di lode e neppure nelle comuni attestazioni di affetto l'amicizia di cui parlo! È in tutto il manifestarsi di una presenza che sollecita alla conoscenza. Un amico così c'è e non c'è nello stesso tempo. C'è , ma oltre il suo sé. Non so come accada, ma un amico tale si colloca in un oltre luminoso che attrae in un vero e proprio percorso di conoscenza. Perciò, credo che non esista amicizia autentica che non generi avanzamento verso una conoscenza più alta, innanzitutto di se stessi! E che dire di quelle amicizie che non si basano sulle parole, ma su una comunione intellettuale profonda, sul piacere che deriva dalla bellezza vissuta che si desidera, per amore, comunicare all'amico! È quest'amicizia una relazione poetica della nostra grande e bella umanità! Essa ci inonda di doni inestimabili che producono la gioia delle scoperte più intime ed universali ad un tempo.

È dono recente di una poetica amicizia anche la conoscenza della poesia di Giovanni Pascoli che trascrivo in dono.

Nel pórci in ascolto del testo, ci sembra di fare una passeggiata simbolica, in bicicletta. Il tempo di questa passeggiata è reale e metaforico insieme. Trascorre dal mattino alla sera, dall'autunno all'estate. Attraversando una natura carica di analogie, il ciclista pedala sulla strada della memoria. I ricordi si accendono come il soffio della “ piccola lampada” che “brilla” nell'oscurità. Dall'attimo della partenza (la “sveglia del querulo implume”), fino al traguardo, ovvero il punto dell'estrema partenza (“più lenta la piccola squilla dà un palpito, e va...”), le immagini trascorrono in quadri della natura, “correlativi oggettivi” di esperienze sofferte o vagheggiate. Il mistero della vita ci seduce. La passeggiata esistenziale si fonde e si confonde nella vita della natura grazie alla melodia poetica semplice e sapiente a un tempo nel contenere il senso nel puro suono che sprigiona i colori della vita (“lo strepere cupo del fiume”, “un mare dorato di tremule messi”, “un battito...vidi un filare di neri cipressi”). La passeggiata, calata la notte, si chiude in cerchio col verbo “ io ritorno” che allude dolcemente alla vita come un “tornare”, fino all'istante supremo della morte, quando l'io rifluisce nel mistero dal quale si era svegliato alla vita. Scandisce la melodia delle immagini l'argentino “dlin dlin” , teneramente fonosimbolico, del campanello della bicicletta.

La Bicicletta
Mi parve d’udir nella siepe
la sveglia d’un querulo implume.
Un attimo... Intesi lo strepere
cupo del fiume.

Mi parve di scorgere un mare
dorato di tremule mèssi.
Un battito... Vidi un filare
di neri cipressi.

Mi parve di fendere il pianto
d’un lungo corteo di dolore.
Un palpito... M’erano accanto
le nozze e l’amore.
dlin... dlin...
II
Ancora echeggiavano i gridi
dell’innominabile folla;
che udivo stridire gli acrìdi
su l’umida zolla.

Mi disse parole sue brevi
qualcuno che arava nel piano:
tu, quando risposi, tenevi
la falce alla mano.

Io dissi un’alata parola,
fuggevole vergine, a te;
la intese una vecchia che sola
parlava con sé.
dlin... dlin...
III
Mia terra, mia labile strada,
sei tu che trascorri o son io?
Che importa? Ch’io venga o tu vada,
non è che un addio!

Ma bello è quest’impeto d’ala,
ma grata è l’ebbrezza del giorno.
Pur dolce è il riposo... Già cala
la notte: io ritorno.

La piccola lampada brilla
per mezzo all’oscura città.
Più lenta la piccola squilla
dà un palpito, e va...
dlin... dlin...
dai Canti di Castelvecchio di G. Pascoli