sabato 21 maggio 2011

Emerenc e Magda: paesaggi e stagioni dell'anima e della Storia

Letta l'ultima pagina, chiudo di colpo il libro. Mi guardo intorno...disorientata. Resto per un bel pezzo altrove, nel mondo del racconto, in compagnia di presenze fantastiche. Le interrogo e rimugino sulle loro storie. Sono a tu per tu con “Emerenc”, indiscussa e indiscutibile protagonista del romanzo La porta, di Magda Szabò. Batto le dita sulla tastiera del computer come fa, sulla macchina da scrivere, l'autrice. L'ungherese Magda Szabò si è raccontata nel dialogo antagonistico con Emerenc al ritmo palpitante e nei chiaroscuri fulminei di uno stile che sbalza le forme del mondo dai recessi dell'anima , e, come un bulino, le incide in sequenze vive e veloci. La scrittura scolpisce volti e oggetti, sui quali la memoria indugia per evocarne squarci di storie legate da un filo misterioso.
In principio e in fine è un sogno
: una porta non si apre nonostante gli sforzi dell'io narrante, ansioso di salvare qualcuno che giace al di là di quella porta. Il risveglio è doloroso e carico di rimorso a causa di quanto, ormai, è inesorabilmente accaduto. Solo una confessione può attenuare il tormento: “devo ammettere che Emerenc l'ho uccisa io. Volevo salvarla, non distruggerla, ma non posso tornare indietro e cambiare le cose” (Magda Szabò, La porta, Einaudi, p.9 ).
E così prende avvio il racconto di un'amicizia straordinaria, come un percorso di espiazione e purificazione, un viaggio nei bisogni profondi che danno vita e forma alle relazioni d'amore.
La storia è ambientata in Ungheria, in un quartiere di Pest, tra suggestivi interni domestici, nei quali si respira l'atmosfera degli anni cinquanta del novecento, ed animati esterni, lungo viali che si snodano tra caseggiati popolari e qualche villa. Il tempo va e viene nelle stagioni scandite dalle attività molteplici e incessanti di Emerenc. Soprattutto va e viene l'inverno nell'immagine ricorrente di Emerenc che spazza la neve. Ma ogni tanto fa capolino la primavera con Emerenc intenta a sbucciare i piselli o a recidere rose.
Emerenc portinaia, cameriera, spazzina, all'occorrenza terapeuta straordinaria del corpo e dell'anima! Emerenc dalle mani fatate, che fa il bucato e prepara dolci meravigliosi!
Linda e ribelle, rigorosa e anticonformista, anarchica e ligia, misteriosa e trasparente, generosa e brutale, sempre instancabile, Emerenc divide l'umanità in due categorie: i lavoratori, che sono quelli che sanno maneggiare la scopa, e gli intellettuali, mistificatori, fasulli, come la giovane ed ambiziosa intellettuale di cui porta avanti la casa. Eppure, quella scrittrice “inutile” e scombinata, Emerenc l'ama come la figlia mai avuta. Del resto, Emerenc è “condannata” ad amare, di un amore totale, uomini e bestie. Quello di Emerenc è amore espresso nei gesti concreti e più usuali della donna, ha il sapore dei suoi cibi profumati, il nitore dei viali da lei spazzati, della sua biancheria inamidata, la lucentezza dei pavimenti delle case da lei governate. Emerenc ama senza condizioni, eppure è lei che detta le condizioni, in ogni relazione: esige discrezione e rispetto totale per il suo “mistero”.
Emerenc incarna anche la storia tormentata dell'Ungheria nel novecento. Il romanzo di Magda Szabò è difatti un accesso alla Storia di questo paese attraverso le memorie della protagonista. I drammi della storia del novecento sono frammenti di vita di questa donna che, tacitamente e gratuitamente, ha salvato dalla deportazione e dalla morte coloro che si sono imbattuti sul suo cammino.
La porta è anche un racconto degli oggetti. Le porcellane, i cristalli raffinati, ma anche i soprammobili chic, evocano ambienti e storie, sono gli emblemi di una grandezza decaduta, le reliquie di un mondo in decomposizione, come la stanza segreta di Emerenc, come la stessa Emerenc, ostinata a resistere alla nuova civiltà, fino a desiderare di morire nella lordura.
In fondo, la “porta” è l'emblema di una soglia sul mistero incomprensbile di Emerenc e della vita in sé. Non a caso la stanza più intima della casa di Emerenc, la camera ostruita da una gigantesca cassaforte, rivela gli arredi preziosi di un'era splendida, ma perduta. Lo splendore di una vita passata che, appena sfiorata, si polverizza come per incanto. Nella trama del romanzo baluginano, dunque, vita e morte, ordine e caos, lindore e sozzura, strato su strato, nel tempo e negli spazi.
A tratti mi ha affascinato persino lo sfacelo della malattia, il lezzo della morte, con un'attrazione fatale, come se da quel lerciume potesse sorgere qualcosa di fiorito, di roseo. Miracolo di una scrittura sensibile che mi ha scossa, continuamente, con l'energia sprigionata dai gesti comuni, dal lavoro faticoso, umile e indispensabile della vita quotidiana.
Ho amato Emerenc e la sua fisicità così spirituale! Ma ho amato anche la scrittrice in cerca di se stessa, “Magduska”, come la chiama amorevolmente Emerenc sul finire della sua storia e del racconto.
Magda è fragile e forte, osservante e dubbiosa, creativa e pragmatica, carrierista e tenera sposa, disordinata e organizzata. Magda è il nuovo che ama il vecchio. Ama soprattutto la vecchia Emerenc e quel suo potere granitico che la soggioga. A Magda Emerenc affida la “chiave” della sua porta. Per lei illumina i misteri del suo cuore. Perciò questa potente narrazione illumina la continuità storica, ma frastagliata dai mutamenti e dal tormento che essi comportano, tra un passato noto e rassicurante, seppure segnato dal dolore, e un presente mobile, sfuggente, insicuro ed insidioso, che, per sussistere, ha bisogno delle fondamenta solide della memoria.
La porta è anche un racconto del "sacro" autentico. Emerenc, dissacrante, irridente verso i riti e le regole della religione, è un'icona del sacro. La sua vita è consacrata alla salvezza degli altri, e la sua morte dovrà accogliere in un'unica magnifica tomba le ceneri della dispersa sua famiglia. Ma il compito di edificare questa sorta di mausoleo è affidato a Magda. E Magda ha esaudito il desiderio: le ceneri del passato sono custodite dalla scrittura, “un monumento più duraturo del bronzo”, edificato con la materia dell'amore.