domenica 11 settembre 2011

… addormentata nel bosco

Quante parole sono state spese sui significati reconditi delle fiabe! E da quanti e quali esperti! E se ne scrivesse qualcuna una donna che ha sperimentato e sperimenta le funzioni di più di una fiaba famosissima? Dissi di Cenerentola e ora voglio parlare del vissuto di Rosaspina, che è il nome della protagonista nella “Bella addormentata nel bosco” dei Fratelli Grimm, nome che preferisco ad Aurora, che appare in altre versioni del racconto, sebbene preannunci il risveglio della principessa e il messaggio stesso della fiaba. Mi piace tanto il gusto dolce-amaro, soave-pungente di Rosaspina. Per le dotte disquisizioni su questa fiaba rimando ai nomi illustri di Propp, Bettelheim, etc. Io vi racconto una parziale condivisione. Innanzitutto condivido in parte il nome della protagonista, quella finale, -pina. Poi ne rivendico uno dei due aggettivi qualificativi. No no, non bella, per carità! Su questo piano mi corrisponderebbe “Il brutto anatroccolo”, che aspetta ancora di diventare un cigno, nonostante un'età quasi veneranda. Non resta che “addormentata”. Oh sì! Il titolo potrebbe mutare in “Pina addormentata”. Quanto al “bosco”, passi pure. È noto che il “bosco” della fiaba sta per “vita”. Ecco, va bene così: Pina addormentata nel bosco. Chissà chi si dimenticarono di invitare alla festa dei miei natali mio padre e mia madre! Qualche mancanza dovettero commetterla, sicché qualcuno si adirò e predisse molto dolore. Per fortuna però qualche straordinaria benevola presenza mi regalò il sonno incantato e mi concesse di attraversare “il bosco” come in sogno. E non riesco a ricordarmi quando e dove e con che cosa mi sono punta cadendo in letargo!. Certo non si trattò del fuso di una vecchia megera! Forse accadde allorché, piccina, tra le dita maldestre cominciai ad imparare i lavori ad ago. O quando tentai di cogliere la rosellina rampicante dalla spalletta della vecchia fattoria sormontata dalla tubante colombaia. È certo, comunque sia andata, che nel sonno son caduta da sola, il reame intorno a me è rimasto ben sveglio, e per niente incantato. Mi capita, ogni tanto di imbattermi in qualche altro dormiente a occhi aperti e allora mi sento meno straniera. Avviene pure che il letargo diventi a tratti meno profondo, e allora sono colta da uno stupore straniante. Ma non dormo distesa come la Bella. Dormo in cosciente e solerte attività. Solo che vedo il mondo incantato dalla potenza della fiaba. E vado avanti sorretta dall'incantesimo. Nel bosco ora sono come Bambi senza la mamma, ora come Pollicino alle prese con l'orco. Mi ristoro nelle capanne dei taglialegna, su giacigli di fieno odoroso. Mi disseto alle fonti della mia immaginazione. E sui bruschi risvegli prevale l'incantesimo della fede nel bene che vincerà sempre sul male. L'incanto è davvero un dono! È una forza più grande di ogni potere. È l'ingenuità del “terzo figlio” delle fiabe, quello più sciocco e sprovveduto che ha la meglio sulla scaltrezza e il calcolo dei furbi! È un sonno che veglia sugli ideali, senza ragionamenti e programmi, l'attesa fiduciosa che il risveglio definitivo avverrà in un mondo d'amore, come simboleggia il bacio del principe che arriva dalla dormiente dopo cento anni di attesa. Non c'è risveglio senza lo smarrimento nella “selva oscura”, senza la discesa al centro di se stessi, dove brilla per tutti la stella più lucente.