mercoledì 15 febbraio 2012

Suggestioni di un viaggio “All'ombra dell'altra lingua"

“Come la luce rapida
Piove di cosa in cosa,
E i color vari suscita
Dovunque si riposa;
Tal risonò moltiplice
La voce dello Spiro:
L'Arabo, il Parto, il Siro
In suo sermon l'udì.”
(A. Manzoni, La Pentecoste, vv. 49 – 56).

È un miracolo il soccorso della poesia negli stati febbrili della mente, come una sorgente ristoratrice nell'anelare ad una essenza intravista nella penombra. Una unità perduta. Schegge di materia viva trasportate dal caso al loro destino aspirano all'unità, ad una unione impossibile quanto desiderata. Schegge che urlano la loro finitezza, l'incompiutezza da risolvere. C'è sempre questo dolore nella poesia.
Torno or ora da un viaggio tra le parole. Quelle di Antonio Prete
, con cui ho in comune l'amore per un poeta, il cantore dell' “arcana felicità”, degli “ameni inganni” della “silenziosa luna giovinetta immortal”, ma anche il fingitore acuto di dialoghi impossibili, di favole paradossali e il rivelatore impietoso del deserto che solo il senso della nostra finitezza può infiorare.
Il libro di Antonio Prete si intitola “ALL'OMBRA DELL'ALTRA LINGUA per una poetica della traduzione”. Si tratta di un saggio, ma la lingua in cui è scritto è lirica. È un saggio poetico, o meglio, è un “pensiero poetante”, per usare il titolo di un lavoro dello stesso Prete sul poeta degli “occhi ridenti e fuggitivi”.
Non si tratta infatti di un manuale per traduttori, ma di una tensione lirica al senso dell'esistere vissuta nell'ascolto e nel dialogo che il traduttore intrattiene con un testo. È un ascolto oltre la lingua, un atto di “imitazione” amorevole di chi presta la sua voce ad un altro, destandolo dal silenzio e diffondendone il canto nello “stare tra le lingue”.

Mi frulla ora nella mente che la parola traduzione è vitale. La vita stessa è affidata ad un codice linguistico, il DNA che nel nucleo cellulare contiene le informazioni da trascrivere e tradurre affinché la vita prenda forma.

La lingua è imitazione della vita, la traduzione della muta natura di cui la voce umana riecheggia la verità nel suono delle lingue. L'atto del tradurre comporta un distacco da se stessi, quasi un donarsi per accogliere l'altro. E l'ospitalità vuole discrezione e delicatezza. Con tale disposizione si traduce l'altro, un testo, accogliendolo in sé e nel suono della propria voce, della propria lingua. Nei suoni è adombrata la verità, soprattutto nei suoni della lingua poetica. La lingua poetica ha la forza di una fede, al punto che, come afferma Antonio Prete evocando Mallarmé, "la cosa, facendosi lingua, suono e idea nella lingua, fa esperienza di una disparition in quanto cosa, diviene appunto parola, con la sua energia, la sua singolare nuova presenza, possiamo dire con il suo proprio profumo (quel'antico dantesco profumo della lingua come “pantera profumata”): e tuttavia c'è in questo processo una vibrazione, una sorta di eco e di ombra dello stadio precedente, del prima della parola"( Antonio Prete, ALL'OMBRA DELL'ALTRA LINGUA, Bollati Boringhieri, p.42).

Parola e luce sono al centro dei versi manzoniani che introducono questa mia “traduzione”. La luce è la metafora della parola sacra, “la voce dello Spiro”, la verità, che è una all'ombra del “molteplice” suono delle lingue. La verità, che è “semplice”, risuona “molteplice”: “L'Arabo, il Parto, il Siro / In suo sermon l'udì” nello stesso modo in cui la luce, che è bianca, “Piove di cosa in cosa, / E i color vari suscita / Dovunque si riposa”.

Ecco la poesia, miracolo, speranza sempre verde per gli uomini in cammino nel villaggio globale. Ed ecco la traduzione, non come teoria e pratica dei dotti, ma come un esercizio dello spirito che si mette in ascolto dell'altro, della verità, “oltre le lingue “, “all'ombra delle altre lingue”, e la respira, e la trasfonde e la custodisce nella melodia nuova della sua voce.