giovedì 14 novembre 2013

Una interpretazione della novella "Rosso Malpelo" di G. Verga


Mi capita spesso di affermare che la letteratura è il luogo dove si incontra l'intera esperienza della vita umana.
Stamattina mi sono svegliata in compagnia di Rosso Malpelo.
Rosso Malpelo è un “caruso” uscito dalla fantasia di Giovanni Verga. Si chiama così a causa dei suoi capelli rossi che per la gente del villaggio sono il segno di una cattiveria congenita.
“Persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo”.
È una novella tremenda. Il racconto spietato delle dinamiche di gruppo alleate contro una sorta di capro espiatorio dell'infelicità umana. 
Non so se tra i commenti a questa novella si trovi un'interpretazione del genere. 
A me sembra che Verga abbia riversato nel racconto il suo dolore di  uomo e di scrittore disadattato nella società della seconda metà dell'ottocento. Si potrebbe vedere in Malpelo l'artista maledetto incarnato dagli Scapigliati milanesi, alla cui poetica lo scrittore siciliano aderì nel corso del suo soggiorno nel capoluogo lombardo.

Malpelo lavora in una cava di rena, schiavo in compagnia di altri schiavi. Ma a differenza di Malpelo e di quella "bestia" ingenua che era stato suo padre, gli altri minatori si stringono in alleanza, e così raggruppati si sentono forti e perdono la coscienza della loro condizione. Di conseguenza, incoscientemente, trovano nel "diverso" Malpelo il soggetto su cui possono esercitare una sorta di supremazia. Risalta così l'oppressione del gruppo sull'individuo inerme, come la "rena traditora" del pilastro crollato su mastro Misciu, il padre di Malpelo.  

"La rena è traditora - diceva a Ranocchio sottovoce: - somiglia a tutti gli altri, che se sei più debole ti pestano la faccia, e se sei più forte, o siete in molti, come fa lo Sciancato, allora si lascia vincere. Mio padre la batteva sempre, ed egli non batteva altro che la rena, perciò lo chiamavano bestia, e la rena se lo mangiò a tradimento, perché era più forte di lui".

Questo è il pensiero tragico di Verga. Gli uomini fanno gruppo contro un “diverso” per sentirsi esistere. E il gruppo sociale è cieco.
Nella novella questa cecità è descritta, nella sua empia crudeltà, dallo stile oggettivo teorizzato dallo scrittore. Verga, infatti, facendo sua la poetica del Naturalismo francese, assegna al narratore il compito di rappresentare il “fatto nudo e schietto”.
In una narrazione siffatta “la mano dell'artista rimarrà assolutamente invisibile […] l'opera d'arte sembrerà essersi fatta da sé”.

Ma se è vero che la mimesi linguistica e il racconto corale riescono a celare la mano del grande scrittore verista, è ancora più vero che l'ispirazione verghiana sgorga da una straordinaria pietà umana. L'amore filiale di Malpelo si manifesta in quel suo scavare, rabbioso e disperato, nella rena sotto la quale è sepolto suo padre. Scava con le unghie senza sosta finché non gli si staccano dalle dita pendendo sulle mani insanguinate. Allora il cuore a noi si stringe in una morsa di pietà. E poi la pietà cede al dolore, mentre leggiamo i passi in cui Malpelo lucida accuratamente gli attrezzi appartenuti a suo padre e contempla e accarezza con lo sguardo le scarpe di lui.

Spietato, invece, è lo scrittore nell'annotare i comportamenti del gruppo sociale verso Malpelo
Eppure, fatta eccezione per il padrone e per l'ingegnere della cava, ai quali Verga fa appena cenno, quanto basta per farne gli emblemi del gelido interesse economico, e per Ranocchio, esponente della schiera dei fragili destinati a soccombere secondo la logica scientifica della selezione naturale, il gruppo sociale è costituito da miserabili come Malpelo. Ma i miserabili fanno gruppo per sentirsi forti e per trovare una sorta di gratificazione esistenziale nella miseria della sorte che tutti li accomuna. La sorte che tutti ci accomuna.

A Malpelo, infine, non resta altro che la compagnia degli oggetti appartenuti a suo padre, quando decide di accettare l'incarico pericoloso di un'esplorazione nella cava, dove si smarrirà per sempre.
"Prese gli attrezzi di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane, il fiasco del vino, e se ne andò: né più si seppe nulla di lui".

Nessun commento: